Negli ultimi anni il mondo dello shipping, come altri settori, sta rivoluzionando la propria politica per un trasporto più “green”, oltre che per rispettare i nuovi standard di sicurezza e prevenzione dell’inquinamento marino e atmosferico. Tuttavia, in questo futuro ecosostenibile che si sta progressivamente realizzando, rimane ancora il dubbio di come e dove vengono smaltite le navi.
Tutto il ciclo vitale di una nave viene costantemente controllato, prima dal cantiere di costruzione, dalla società di classificazione, da audit interni della compagnia, poi da ispezioni periodiche e infine dalle autorità vigenti nei porti che tocca (port state control). Generalmente, tutto ciò finisce quando i costi di manutenzione superano quelli di profitto e l’armatore decide che non è più conveniente investire su di essa. In quest’ultima fase i buoni propositi di eco-sostenibilità sembrano venir meno e, in buona parte dei casi, la nave scompare letteralmente dalla portata legislativa di quegli Stati che si impegnano a rispettare l’ambiente. Le navi prossime alla demolizione vengono vendute o iscritte sulle cosiddette “bandire di comodo”, in modo da poter essere arenata a basso costo sulle spiagge dei tanti cantieri di demolizione di India, Pakistan o Bangladesh, mentre si perdono completamente le sue tracce.
Dopo un ciclo medio di vita di trent’anni in mare, le grandi navi commerciali – navi da carico, portacontainer, petroliere e navi passeggeri come navi da crociera e traghetti – vengono vendute a siti di smantellamento per essere rottamate. A partire dagli anni ‘40 e fino ai primi anni ‘70, lo smantellamento di mezzi navali era un’attività tipica dei porti, in particolare quelli dell‘Europa del sud, come Italia e Spagna, ma anche Gran Bretagna, Taiwan, Messico e Brasile. In seguito, parallelamente con il trasferimento delle attività di costruzione navale, anche l‘industria della demolizione spostò il suo baricentro verso Est, coinvolgendo in larga misura Paesi Asiatici come Giappone, Corea, Cina e Taiwan. A partire dagli anni ’80 e fino ad oggi il punto focale della rottamazione navale si è concentrato in India, Bangladesh e Pakistan, meno in Turchia, mentre la Cina detiene ancora una buona percentuale. Solamente una minima parte di tale mercato è rimasta in Europa.
Oggi più del 70% delle navi giunte a fine servizio vengono vendute in Asia meridionale per essere smantellate.
Cash Buyers
Gli armatori raramente vendono le vecchie navi direttamente alle aziende di smantellamento. Essi spesso usufruiscono dei servizi offerti loro dai cosiddetti cash buyers e brokers. Si tratta di società specializzate nel mercato del tonnellaggio giunto a fine vita. In particolare, i cash buyers offrono agli armatori il prezzo più alto possibile come corrispettivo della vendita, assumendosi in toto le responsabilità relative alla gestione delle imbarcazioni durante l’ultima fase del ciclo di vita delle stesse. Per la nave è poi previsto un cambio di bandiera e la registrazione con un nuovo nome, nel tentativo di nascondere l’origine dell’imbarcazione.
Per evitare responsabilità e approfittare delle lacune presenti nella legislazione internazionale, si ricorre all’utilizzo di “bandiere di comodo”: un armatore è libero di registrare una nave con la bandiera di un Paese con il quale non ha alcun tipo di collegamento personale e professionale. Molti Paesi offrono questo tipo di registrazione a basso costo, visto lo scarso controllo regolamentare offerto e l’applicazione di aliquote ridotte. Di conseguenza, il fenomeno delle bandiere di convenienza ha creato un sistema in cui gli Stati competono per accaparrarsi navi tramite politiche che promettono una riduzione di costi e salari più bassi, grazie a tasse e oneri normativi bassi. Circa il 75% delle grandi navi commerciali è sotto il controllo regolamentare di Paesi quali Panama, Liberia e Isole Marshall, mentre i più potenti armatori a livello globale hanno sede in Europa e in Asia orientale, ciò significa che vi è una discrepanza totale tra le più grandi nazioni marittime del mondo e gli Stati di bandiera che esercitano il controllo sulle imbarcazioni.
Circa tre quarti delle navi già battono bandiere di comodo durante l’uso operativo. Con l’avanzare dell’età, ed in particolare per l’ultimo viaggio, anche quelle poche navi che ancora usufruiscono di registri responsabili, compresi quelli europei, cambiano bandiera. I cash-buyer optano per bandiere di comodo che offrono sconti di registrazione in caso di ultimo viaggio verso i siti di smantellamento (es. i registri di Tuvalu, Comore e St Kitts e Nevis), bandiere che sono poco utilizzate dalle navi in piena attività commerciale. Di conseguenza, le navi a fine vita sono numerose nei registri delle peggiori nazioni FOC-Flag Of Convenience. Il sistema FOC rende impossibile la regolamentazione delle pratiche di riciclaggio navale, dal momento che non vi è alcun obbligo per gli armatori stessi che non sia connesso alla giurisdizione degli Stati di bandiera. Se le grandi potenze marittime rimangono riluttanti a considerare gli armatori legalmente responsabili per le demolizioni navali non sostenibili e non incentivano un tipo di riciclaggio pulito e sicuro, gli armatori e i cash buyers continueranno ad utilizzare bandiere di comodo per gli ultimi viaggi verso le spiagge dell’Asia meridionale: una soluzione attraente per coloro che cercano di evitare l’applicazione di norme più severe.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) prevede che la responsabilità primaria delle navi spetti allo Stato di bandiera della nave. Pertanto, ogni nave mercantile deve essere registrata sotto la bandiera di un particolare Stato sotto il cui controllo regolamentare ricade di conseguenza. Lo Stato di bandiera è, ad esempio, responsabile dell’ispezione della nave e della sua idoneità alla navigazione, garantisce la sicurezza e la prevenzione dell’inquinamento e certifica l’equipaggio. Poiché i diritti e gli obblighi previsti dal diritto internazionale sono principalmente imposti alle navi attraverso gli Stati di bandiera, sono un fattore cruciale nel determinare l’applicabilità degli standard internazionali.
Nonostante esercitino una funzione pubblica, i registri FOC nella maggior parte dei casi non sono agenzie governative, ma società private situate al di fuori dell’attuale stato di bandiera o che operano da diverse filiali gestite da agenti. In genere, i profitti sono condivisi tra l’azienda e lo stato di registrazione. I FOC competono per la registrazione delle navi con politiche che promettono costi inferiori mantenendo le tasse e gli oneri normativi leggeri. Nonostante abbiano ratificato diverse convenzioni marittime e sul lavoro internazionali, i FOC spesso mancano delle risorse o della volontà per applicare efficacemente il diritto internazionale. Gli armatori possono cambiare facilmente e rapidamente la bandiera della loro nave e la pratica di scambiare la bandiera di una nave per ridurre i costi ed evitare le leggi viene definita “flag hopping”.
Presso l’Organizzazione Marittima Internazionale delle Nazioni Unite (IMO), dove vengono decise tutte le normative marittime internazionali, i paesi che hanno il maggior numero di navi sotto la loro bandiera hanno più peso nel processo decisionale rispetto a quei paesi con meno navi. Tutte le convenzioni adottate dall’IMO entrano in vigore solo quando un certo numero di Stati che rappresentano una determinata percentuale della flotta mondiale lo hanno ratificato. In modo abbastanza significativo, il capo della delegazione di Panama presso l’IMO è quindi soprannominato “Mr. IMO “. In effetti, ci sono molti piccoli paesi senza tradizione di navigazione mercantile che hanno il potere decisivo di influenzare gli standard internazionali semplicemente perché molte navi battono la loro bandiera.
Per le navi fuori uso, la discrepanza tra i paesi di titolarità effettiva e le bandiere delle navi è persino maggiore che durante la vita operativa di una nave. Alcuni FOC sono sovra rappresentati alla fine del ciclo di vita; questi FOC sono difficilmente utilizzati durante la vita operativa delle navi, ma sono particolarmente apprezzati per gli ultimi viaggi verso i cantieri di demolizione.
Il lavoro minorile
Le pratiche di demolizione navale sono state aspramente criticate da diverse organizzazioni nazionali ed internazionali nell’ultimo decennio, a causa dell’evidente inquinamento ambientale, dell’abbandono di rifiuti pericolosi, delle pessime condizioni lavorative e dello sfruttamento del lavoro minorile.
All’interno di questi cantieri la maggior parte dei bambini lavora come aiutante della taglierina o alla smerigliatrice. I primi assistono gli operai che usano le torce a gas per tagliare pezzi di ferro. Alcuni lavorano sulla riva, dove pezzi più grandi della nave vengono tagliati in piatti più piccoli, altri lavorano direttamente sulla nave. Lavorare sulla nave è molto più pericoloso: in caso di incendio, i lavoratori all’interno dello scafo rischiano di inalare fumi altamente tossici. Gli “spazzini” rimuovono il fango dai pezzi della nave dopo che sono stati trascinati attraverso la piana fangosa di marea. Rimuovono anche i fanghi, che sono tossici e provocano malattie della pelle. A differenza degli aiutanti del cutter, che di solito riescono a procurarsi l’attrezzatura di protezione individuale, come stivali di gomma e guanti, i bambini incaricati di “spazzare” non sono affatto protetti. Un numero limitato di bambini trasporta i cavi pesanti utilizzati per spostare le parti tagliate della nave, i più piccoli di solito fissano i cavi sui pezzi di acciaio.
Alla base dello sfruttamento minorile in paesi come India, Bangladesh e Pakistan vi è la grande povertà che dilaga tra la popolazione media, che determina la necessità di mandare un bambino ai cantieri demolitori, dove lo stipendio è più alto che in altri settori e dove i datori di lavoro spesso chiudono gli occhi sui requisiti di età minima e assumono anche bambini piccoli. La povertà, tuttavia, non è l’unica causa del lavoro minorile nei cantieri, c’è anche un “fattore di attrazione” che incoraggia il lavoro minorile: i bambini rappresentano una forza lavoro più economica che è facile da controllare e molto improbabile che difenda i propri diritti, e ancora più improbabile che cerchi aiuto dai sindacati.
L’Organizzazione internazionale del lavoro ha definito la demolizione di navi una delle “occupazioni più pericolose” al mondo. Nel marzo 2004, l’ILO ha approvato una serie di criteri riguardo “Sicurezza e salute nella demolizione di navi: linee guida per i paesi asiatici e la Turchia”. Queste linee guida sono rivolte a coloro che hanno la responsabilità della sicurezza e della salute sul lavoro nelle operazioni di demolizione di navi, compresi i datori di lavoro e le autorità nazionali.
Il contesto legislativo
A livello internazionale, tre organismi delle Nazioni Unite si occupano del problema della demolizione delle navi: UNEP, IMO e ILO.
Convenzione di Basilea
Il Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) ha adottato la Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento nel 1992, a seguito di numerosi scandali legati al traffico di rifiuti pericolosi alla fine degli anni ‘80. Uno degli incidenti che ha portato alla creazione della Convenzione di Basilea è stato l’incidente di smaltimento dei rifiuti del “Khian Sea”, una nave che trasportava la cenere di un inceneritore dalla città di Filadelfia negli Stati Uniti che ha scaricato metà del suo carico su una spiaggia ad Haiti per poi navigare per diversi mesi, cambiando più volte nome, e infine scaricare gran parte del carico in mare.
La Convenzione di Basilea controlla il commercio internazionale di rifiuti pericolosi ed è rilevante per la demolizione delle navi, dal momento che queste ultime contengono materiali pericolosi come amianto, vernici e resine, oli minerali, policlorobifenili (PCB), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), diossine, furani e altre sostanze tossiche. La Convenzione è stata ratificata da 181 paesi (Haiti e gli Stati Uniti hanno firmato la convenzione ma non l’hanno ratificata) e rimane l’unico strumento internazionale che mira a proteggere i Paesi in via di sviluppo dallo scarico illegale di rifiuti tossici. Secondo la normativa in materia di commercio dei rifiuti, le navi vendute a fini di smantellamento sono da considerarsi rifiuti. Nessuno Stato aderente è autorizzato a vendere rifiuti pericolosi senza il previo consenso del Paese destinatario e senza garantire una gestione dei rifiuti ecologicamente sicura. Se i Paesi di demolizione non sono in grado di gestire adeguatamente i rifiuti pericolosi, tutti i materiali tossici devono essere rimossi dalla nave prima della sua vendita ad un Paese in via di sviluppo. La Convenzione, inoltre, impegna le Parti a:
- ridurre al minimo la produzione di rifiuti pericolosi all‘interno di ciascun Paese;
- provvedere allo smaltimento dei rifiuti mediante impianti collocati all‘interno di ciascun Paese;
- ridurre i movimenti transfrontalieri di rifiuti ad un minimo compatibile con una gestione efficace e razionale dell‘ambiente;
- vietare l‘esportazione di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti verso Paesi in via di sviluppo che abbiano proibito, mediante proprie leggi interne, l‘importazione di rifiuti, o che risultino comunque sforniti della capacità di gestire tali rifiuti secondo metodi razionali dal punto di vista ecologico;
- a collaborare per garantire la più ampia divulgazione delle informazioni sui movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti.
Le Parti si impegnano, altresì, a sanzionare penalmente il traffico illecito di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti, nonché una disciplina in materia di imballaggio, etichettatura, modalità di trasporto di tali rifiuti, i quali dovranno in ogni caso viaggiare corredati da un documento comprovante il loro movimento dal luogo di origine fino al luogo di smaltimento. Inoltre, prevede l‘istituzione di un fondo rinnovabile per l‘assistenza temporanea in caso di situazioni di emergenza, al fine di limitare al minimo i danni causati da incidenti provocati dal trasporto transfrontaliero o dallo smaltimento di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti.
Al testo della Convenzione fanno seguito sei annessi, relativi alle categorie di rifiuti da controllare (annesso I), alle categorie di rifiuti che necessitano di un esame particolare (annesso II), alla lista delle caratteristiche di pericolo (annesso III), alla tipologia delle operazioni di smaltimento (annesso IV), alle informazioni da fornire nelle notificazioni (annesso V-A), alle informazioni da fornire nel documento del movimento (V-B), alle disposizioni relative alla risoluzione delle controversie (annesso VI).
Determina inoltre la procedura da eseguire prima di consegnare la nave al cantiere di riciclaggio:
- preparazione di un inventario dei rifiuti pericolosi/inquinanti presenti a bordo: mediante un‘attività ispettiva dovrebbero essere riconosciuti, quantificati e localizzati i rifiuti pericolosi e gli altri rifiuti presenti a bordo.
- rimozione dei rifiuti e pulizia dalle componenti liquide, compresi carburanti e lubrificanti: i rifiuti pericolosi (in particolare amianto, PCB, vernici ecc.) dovrebbero essere rimossi, per quanto possibile, durante il ciclo di vita della nave prima del viaggio verso la demolizione, così che una minima quantità di questi materiali dovrà essere trattata nel corso del processo di demolizione.
- messa in sicurezza: per assicurare che le procedure operative siano attuate in maniera sicura, sono richieste attività di messa in sicurezza della nave, in particolare in riguardo a due aspetti. Il primo è relativo al sicuro accesso a tutte le aree, compartimenti, cisterne, ecc., garantendo al loro interno atmosfere respirabili; il secondo riguarda condizioni di sicurezza per i lavori con fiamma, includendo pulizia, ventilazione, rimozione di vernici tossiche o altamente infiammabili dalle aree interessate dai lavori.
- rimozione degli equipaggiamenti: le attrezzature smontabili e commercializzabili vengono rimosse per prime; i componenti riutilizzabili sono prelevati non appena divengono accessibili. In questa fase sono oggetto di rimozione, per esempio, equipaggiamenti quali ancore, catene, parti del motore, eliche, ecc …
- contenimento: considerando che tutte le navi contengono materiali pericolosi e nessuna preventiva attività di pulizia è in grado di rimuovere il 100% di essi, l‘aspetto di design più importante per una facility dedicata alla demolizione navale è costituito dal contenimento di ogni possibile rilascio all‘interno dei confini del cantiere e dalla successiva raccolta dei materiali riversati;
- aree specialmente equipaggiate per il trattamento e lo stoccaggio dei materiali pericolosi e tossici
- prossimità di adeguati impianti di smaltimento
- creazione di un piano per la gestione ambientale, chiamato Environmental Management Plan (EMP)
Nel 1995, un gruppo di delegati dei paesi in via di sviluppo, delusi dalla mancanza di un’applicazione significativa della Convenzione di Basilea, ha creato “l’emendamento al divieto”, entrato in vigore a livello internazionale il 5 dicembre 2019. A livello europeo, la Convenzione di Basilea, compreso l’Emendamento sul divieto, fa parte del regolamento sulle spedizioni di rifiuti dell’Unione europea. È quindi vietata l’esportazione di rifiuti pericolosi dall’UE verso i paesi in via di sviluppo.
Valutando l’inefficacia del trattato di Basilea che, grazie alla scappatoia delle “bandiere di comodo”, perde il suo potere legislativo sugli armatori, l’Imo deciderà poi di lavorare su un nuovo regolamento a sostegno del riciclaggio navale: la Convenzione di Hong Kong, ad oggi non ancora in vigore, pertanto la Convenzione di Basilea resta quindi l’unica legge internazionale che disciplina il riciclaggio delle navi, insieme alle Risoluzioni IMO A.981(24) – New legally-binding instrument on Ship Recycling, che richiama a sua volta la Resolution A.962(23) – Guidelines on Ship Recycling del 2003, successivamente emendata dalla Resolution A.980(24).
Un altro strumento, un po’ più datato, è rappresentato dalla Convention on the Prevention of Marine Pollution by Dumping of Wastes and Other Matter 1972 (London Convention). Fu la prima Convenzione ad occuparsi della protezione dell’ambiente marino dall’intervento dell’Uomo. La Convenzione è in parte superata, sebbene sia stata modernizzata nel 1996 con un protocollo entrato in vigore nel 2006 che stabilisce chiaramente che ogni immissione volontaria di rifiuti in mare (dumping) e vietata salvo per qualche eccezione.
Convenzione di Hong Kong
Nel maggio del 2009, l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) ha adottato la Convenzione di Hong Kong sul riciclaggio sicuro ed ecologicamente corretto delle navi (HKC). La convenzione è stata aperta alla firma il 1 ° settembre 2009 e successivamente è rimasta disponibile all’adesione. E’ stata ratificata da 15 Paesi (Belgio, Congo, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, India, Ghana, Giappone, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Panama, Serbia e Turchia, aggiornato al 12/02/20), le cui flotte mercantili costituiscono circa il 30,2% della stazza lorda della flotta mercantile mondiale. Entrerà in vigore solo 24 mesi dopo la ratifica da parte di 15 Stati, che rappresentano il 40% del traffico mercantile mondiale per stazza lorda, con un volume annuo massimo combinato di riciclaggio delle navi non inferiore al 3% del loro tonnellaggio combinato.
La Convenzione stabilisce gli standard per il riciclaggio delle navi e attribuisce la responsabilità dell’applicazione allo Stato di bandiera della nave e allo Stato di riciclaggio. Le linee guida della Convenzione di basano principalmente su seguenti punti:
- Sviluppo dell’inventario dei materiali pericolosi
- Indagine e certificazione
- Autorizzazione degli impianti di riciclaggio delle navi
- Riciclaggio delle navi sicuro e rispettoso dell’ambiente
- Sviluppo del Piano di riciclaggio delle navi
Nonostante i buoni propositi della Convenzione, nell’ottobre 2011, l’ UE ha presentato una “valutazione preliminare di equivalenza” alla Conferenza delle parti della convenzione di Basilea, concludendo che la convenzione di Hong Kong sembra fornire un livello di controllo e applicazione almeno equivalente a quello fornito dalla convenzione di Basilea, non risolvendo così le problematiche per cui era stata creata.
In effetti, la Convenzione di Hong Kong sigla le condizioni attuali in quanto non vieta lo spiaggiamento e non stabilisce i requisiti, oltre al rispetto delle norme nazionali, per la gestione dei rifiuti pericolosi una volta che lasciano l’impianto di riciclaggio. Inoltre, la Convenzione si basa sulla giurisdizione dello Stato di bandiera ed è quindi soggetta alla legge di quelle bandiere popolari per gli ultimi viaggi verso le spiagge dell’Asia meridionale, quindi note per la loro scarsa attuazione del diritto marittimo internazionale.
Le autorità locali dell’Asia meridionale affermano già che le strutture di spiaggiamento esistenti sono conformi ai requisiti della Convenzione di Hong Kong tramite una “Dichiarazioni di conformità” che legalizza letteralmente gli stessi cantieri di demolizione, confermando così le lacune giuridiche della Convenzione stessa.
Regolamento Europeo
A livello europeo, il Regolamento sulle spedizioni di rifiuti vieta qualsiasi esportazione di rifiuti pericolosi, comprese le navi giunte a fine ciclo di vita, dall’Unione europea verso Paesi non appartenenti all’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). A causa della facilità con cui gli armatori possono aggirare questa legge, il 30 dicembre del 2013 è entrato in vigore un nuovo Regolamento europeo (1257/2013) sul riciclaggio delle navi. Tutte le navi che entreranno nei porti comunitari dovranno avere un inventario dei materiali pericolosi (IHM_ Inventory of Hazardous Materials) a bordo; inoltre le navi battenti bandiera comunitaria dovranno essere smantellate nelle strutture approvate dall’UE.
Il 20 novembre 2013 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno adottato il regolamento sul riciclaggio delle navi. Dal 31 dicembre 2018, le navi commerciali battenti bandiera dell’UE di stazza superiore a 500 GT devono essere riciclate in impianti di riciclaggio delle navi sicuri e rispettosi dell’ambiente che sono inclusi nell’elenco europeo degli impianti di riciclaggio delle navi approvati UE. L’Elenco è stato istituito per la prima volta il 19 dicembre 2016 e viene periodicamente aggiornato per aggiungere ulteriori strutture conformi o, in alternativa, per rimuovere strutture che non sono più conformi, con una copertura globale. Per essere incluso nell’elenco europeo, qualsiasi impianto di riciclaggio delle navi indipendentemente dalla sua posizione deve soddisfare una serie di requisiti di sicurezza e ambientali . Le strutture che operano nell’UE sono state autorizzate dalle rispettive autorità nazionali per l’inserimento nell’elenco. La Commissione europea valuta le domande ricevute dagli impianti di riciclaggio delle navi situati in paesi terzi. L’elenco funge da importante elemento di differenziazione del mercato per i cantieri che hanno già investito in adeguati standard di sicurezza sul lavoro e ambientali.
Mentre il regolamento anticipa i requisiti della convenzione di Hong Kong del 2009 per il riciclaggio delle navi, include anche ulteriori requisiti di sicurezza e ambientali. In effetti, l’UE stabilisce standard più elevati rispetto alla Convenzione di Hong Kong dell’IMO: il metodo di spiaggiamento non è consentito e sono inclusi i requisiti relativi alla gestione dei rifiuti tossici a valle, nonché i diritti dei lavoratori. Inoltre, gli impianti di riciclaggio delle navi elencati nell’UE sono soggetti a un livello di controllo più elevato: esistono certificazioni e audit di terze parti indipendenti che possono presentare reclami se hanno dubbi che una struttura elencata non funzioni in linea con il regolamento. Si tratta di garanzie importanti che sono assenti dal regime della Convenzione di Hong Kong. L’inserimento nell’elenco dell’UE è infatti l’unica garanzia che un cantiere sia stato certificato e verificato in modo indipendente rispetto a uno standard accettabile.
Per garantire la chiarezza giuridica ed evitare gli oneri amministrativi, le navi coperte dalla nuova legislazione saranno escluse dal campo di applicazione del regolamento sulle spedizioni di rifiuti. Le navi battenti bandiera non UE vendute per la demolizione mentre si trovano in acque europee rimarranno coperte dal regolamento sulle spedizioni di rifiuti.
Le navi europee, così come le navi che navigano sotto la bandiera di un paese terzo e fanno scalo in un porto o ancoraggio dell’UE, dovranno avere a bordo l’inventario dei materiali pericolosi, che fornisce informazioni dettagliate riguardo ai materiali potenzialmente pericolosi utilizzati nella costruzione della nave, delle sue apparecchiature e dei suoi sistemi. Pertanto, tutti gli aggiornamenti della nave e la sostituzione dell’equipaggiamento effettuati a bordo durante la vita della nave devono riflettersi in un aggiornamento costante dell’IHM, ciò consente all’armatore di avere un documento aggiornato al momento della consegna della nave all’impianto di riciclaggio.
I paesi dell’UE devono presentare ogni 3 anni relazioni sul riciclaggio delle navi, includendo informazioni quali gli elenchi delle navi alle quali è stato rilasciato un certificato di idoneità al riciclaggio e informazioni sul riciclaggio illegale delle navi.
Il regolamento è in vigore dal 20 Novembre 2013, In Italia è stato integrato nel D. Leg.vo 30/07/2020, n. 99.
Conclusioni
Ad oggi il problema del riciclaggio delle navi non è ancora stato risolto, nonostante i regolamenti e i trattati internazionali, gli interessi economici di armatori e compagnie riescono a prevalere su una questione che ormai riguarda tutti: la prevenzione all’inquinamento.
È chiaro che per vedere un cambiamento a livello globale è necessario che almeno la maggior parte degli Stati sostengano lo stesso progetto, che approvino un regolamento comune e che lo facciano rispettare all’interno dei propri confini, cosa che spesso non coincide con gli interessi economici o semplicemente li contrasta. Forse si arriverà ad una soluzione efficace quando il riciclaggio eco-sostenibile e sicuro delle navi diventerà un valido business in cui investire, incentivato economicamente dai Governi tanto da diventare concorrenziale sul mercato internazionale rispetto all’alternativa dello “spiaggiamento”.
Un’opinione pubblica informata può anche generare volontà politica e sostenerla. Rendere pubbliche le condizioni scandalose in cui opera la maggior parte degli impianti di riciclaggio dell’Asia meridionale ha un certo impatto, ma attualmente i cittadini preoccupati da questa situazione non dispongono di alcuno strumento per influenzare direttamente il settore dei trasporti marittimi mediante l’acquisto o il boicottaggio dei servizi che offrono. Occorre porre rimedio a questa situazione incoraggiando le principali società che si avvalgono dei servizi di trasporto marittimo ad esigere che le loro merci siano trasportate da navi alle quali si applicano politiche di fine di vita responsabili.
Questo, come tante altre problematiche del mondo marittimo, è una questione che direttamente o indirettamente coinvolge tutti, perché non si tratta solo di economia e ambiente, ma si parla di leggi e diritti internazionali che hanno bisogno di una “voce” affinché vengano accettati e rispettati.
Fonti e Link utili:
europa.eu/lista cantieri di riciclaggio